Attualità

CERVELLI FUORI!

Sono troppi i lucani costretti ad emigrare in cerca di occupazione. La meritocrazia non sempre emerge, ad essere penalizzati sono i giovani che provengono da famiglie non molto facoltose.
La locuzione latina “Nemo propheta in patria”, ossia, “Nessuno è profeta nella propria patria” è citata in tutte e quattro i Vangeli, è trascorso molto tempo dalla stesura dei testi, il mondo si è evoluto eccetto che per alcune abitudini.
Una storia come tante quella di Domenico Melidoro, policorese di nascita, romano d’adozione. Domenico Melidoro insegna Global Justice alla LUISS Guido Carli di Roma e coordina le attività didattiche del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” dei Cavalieri del Lavoro. Si occupa di filosofia politica contemporanea, in particolare di multiculturalismo, laicità e immigrazione. Ha scritto diversi saggi per riviste nazionali e internazionali e una monografia sul multiculturalismo. Decidiamo di porre alcune domande al dott. Melidoro per meglio capire il suo pensiero in merito la nostra Basilicata.


Chi è Domenico Melidoro? Un padre quarantenne che, da quando aveva sei anni, fa quello che più gli piace: leggere e scrivere. Lei è nato in Basilicata, ha deciso, dopo il conseguimento della maturità, di lasciare la sua città, perché? Dopo la bella esperienza liceale allo scientifico “Enrico Fermi” di Policoro, nel 1996 mi sono iscritto a Filosofia alla Sapienza di Roma. La scelta della città dove proseguire gli studi, devo ammettere, è stata piuttosto casuale. Perché non sono in Basilicata? Come è piuttosto naturale, a diciannove anni si ha voglia di cambiare aria, e la capitale del Paese è senz’altro uno dei luoghi più appetibili. E poi, se non ricordo male, allora né a Potenza né a Matera c’era un corso di laurea in filosofia. Sembrerebbe una domanda scontata, ma quali opportunità, dal punto di vista lavorativo e non solo, offre una città come Roma? Roma è una città bellissima che attraversa da anni una fase di decadenza. Non è facile viverci, come è ovvio in città grandi e disorganizzate. Bisogna farci l’abitudine, saper razionalizzare tempi e spostamenti. Solo con un po’ d’esperienza ci si riesce a vivere sufficientemente bene. Se guardiamo al mondo lavorativo, con la fine delle grandi assunzioni pubbliche, anche Roma è diventata una piazza difficile. Certo, con impegno e determinazione, qualcosa si trova. Tuttavia, qui come altrove, nessuno ti regala nulla.
Cosa le manca della sua terra? In realtà, pur non vivendoci più stabilmente da circa vent’anni, torno molto spesso a Policoro, dove ho mantenuto solidi rapporti personali. Non so bene cosa mi manca del posto in cui sono nato. Probabilmente il modo in cui guardavo alla vita quando vi risiedevo. A quel tempo, era la metà degli anni ’90, avevo l’impressione che tutto fosse possibile, che bastasse solo volerlo e impregnarsi per ottenere i propri obiettivi. E’ questo, dopotutto, che mi manca: quel senso della possibilità che si può avere solo a diciott’anni, prima che la vita ti faccia capire che spesso la realtà ha il sopravvento sulla possibilità. Che ne pensa della politica italiana e lucana? Siamo in piena campagna elettorale, e non si può non vedere un Paese profondamente diviso. La divisione non è un male in sé, ma lo diventa quando il criterio di distinzione non ha a che fare con tensioni ideali profonde e condivise. A fronte di una situazione socio-economica molto complessa mancano le idee e le visioni complessive, ma abbondano le divisioni tra gruppi in cerca di potere. Per quanto riguarda la politica lucana, ho l’impressione che la Regione attraversi un periodo di immobilismo. Ritengo sia necessario un rinnovamento profondo della sensibilità: le persone possono cambiare, ed effettivamente cambiano, ma al cambiamento delle persone non corrisponde una nuova sensibilità istituzionale e politica. Di questo ci sarebbe bisogno anche perché, col passare dei decenni, la Basilicata è sempre al fondo delle classifiche riguardanti l’occupazione, la ricchezza, la qualità della vita, ecc. Tornerebbe in Basilicata per lunghi periodi, non solo per le vacanze? Certo, se ci fossero le condizioni, innanzitutto dal punto di vista lavorativo. Mi è tuttavia difficile, a causa di alcune circostanze personali e lavorative, pensare a un trasferimento nel breve periodo. Esiste la meritocrazia? Che cos’e? La Treccani ci dice che la meritocrazia è una «concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e specialmente le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli». E’ una concezione sulla quale, almeno apparentemente, sono tutti d’accordo. C’è addirittura un partito politico, il cui leader non ha avuto alcuna esperienza significativa né in ambito lavorativo né in ambito universitario prima di entrare in Parlamento, che ha promesso addirittura di istituire un Ministero della Meritocrazia.
Se è vero che basta una semplice osservazione di chi riveste cariche pubbliche per rendersi conto che la meritocrazia è una concezione che trova poco riscontro nel nostro panorama istituzionale, devo ammettere che la meritocrazia non mi appassiona più di tanto. Il merito va certamente riconosciuto e valorizzato, ma non si può trascurare il fatto che il merito spesso dipende anche dalle condizioni socio-economiche di partenza. Chi nasce in una famiglia abbiente e in cui la cultura riveste particolare importanza avrà più possibilità di accedere a percorsi formativi di eccellenza che poi avranno un effetto benefico sulla sua condizione lavorativa. Chi invece nasce in un contesto disagiato avrà molte difficoltà solo per riuscire ad accedere in un contesto in cui i suoi talenti possano essere valorizzati. Dunque, per dirla in breve, la meritocrazia va bene, ma solo se è preceduta da adeguate politiche di eguaglianza di opportunità.
Di Mary Padula