INTERVISTA A MARIA DI TURSI, AUTRICE DEL LIBRO “LA TIGRE E IL GABBIANO”
La tigre e il gabbiano di Maria Di Tursi (Il Convivio Editore, 2021) è un lungo racconto, metaforico e simbolico, di un viaggio intorno al mondo e al tempo stesso dentro la natura umana, narrato in prima persona dalla protagonista Sephira. Un percorso gnoseologico alla ricerca di segni da decifrare; una narrativa originale e diretta che si spoglia dei consueti artefici della prosa per collocarsi in una dimensione che va oltre la scrittura stessa.
Maria Di Tursi, docente di lingue e letterature straniere, è nata in Pisticci (MT) nel 1982. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, teatro e saggi. La tigre e il gabbiano è il suo primo libro di narrativa.
Come nasce “La tigre e il gabbiano”?
Il libro nasce come nascono tutti i libri: da un’idea. Ci sono pensieri che abitano la mente di uno scrittore, in attesa che un lampo li organizzi attorno ad un filo narrativo. La tigre e il gabbiano è dunque la storia di un’illuminazione, nel senso più metafisico del termine.
Quanto c’è di Maria in Sephira?
C’è una forte componente autobiografica nella storia; il racconto dei viaggi è, in effetti, reale e romanzato al tempo stesso. Ma mi piace anche rispondere a questa domanda in termini di fisica matematica, dato che nel libro tale ambito riveste un ruolo importante. Tra Maria e Sephira – tra la scrittrice e il personaggi – c’è la stessa relazione che esiste tra massa ed energia. Mi riferisco alla famosa formula: . Quell’idea (il lampo di cui parlavo prima) è la costante c, ovvero la velocità della luce. Sephira non è altro che Maria che pensa più velocemente. Se Maria è la realtà, Sephira è l’energia che scaturisce dal suo pensiero. L’universo è governato dall’energia, ciò che è visibile è governato dall’invisibile. Questo ha valenza a vari livelli. Senza andare al di là dell’atmosfera terrestre, possiamo tranquillamente affermare che i pensieri possono cambiare il mondo, in bene o in male. Una guerra, prima di mietere vittime, viene concepita dal pensiero di uno stratega; una bomba, prima della sua realizzazione, viene progettata da una mente. Lo stesso vale per le cose belle. Nella tigre e il gabbiano si rinnova, ad esempio, un invito costante a proteggere la natura, le diversità culturali, l’arte, la bellezza; dopotutto sono questi i pensieri che mi abitano.
Perché il forte dualismo tra numeri e parole?
In realtà è un dualismo apparente, come si evince dal racconto. Numeri e parole sono come uomo e donna, giorno e notte, ragione e spiritualità. Del resto, la mia epigrafe all’inizio del libro parla chiaro: “Se vuoi conoscere l’uomo devi studiare le lettere, se vuoi conoscere il divino devi studiare i numeri. Se ti appassioni ad entrambi, conoscerai il mondo. Se conosci il mondo, lo ami. Il mondo è di coloro che lo amano”.
Spesso quando parla di lettere si riferisce ai classici. I classici dovrebbero tornare a vivere tra i giovani?
Qualunque atto di ribellione generazionale, qualsiasi rivoluzione di un sistema artistico o semplicemente comunicativo, deve presupporre la conoscenza ossessiva dei modelli che si vogliono sovvertire. Non si può contrapporre un nuovo sistema di valori ad un altro che non si conosce profondamente, perché non sarebbe una rivoluzione, ma solo confuso smarrimento. I giovani hanno un disperato bisogno di tornare ai classici.
Stiamo davvero diventando un popolo privo di individualità?
Nella misura in cui rinunciamo alla nostra storia, alle nostre tradizioni (o quantomeno alla conoscenza di esse) e ci uniformiamo alla società della globalizzazione a tutti i costi, sì – stiamo diventando privi di tratti peculiari, privi di idee e facili da gestire.
Nel suo libro si parla di libertà. Siamo liberi oppure pensiamo di esserlo?
“Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo”: è una citazione di Goethe, ma la trovo estremamente pertinente alla sua domanda. Viviamo in un’epoca molto particolare. Il mio pensiero a riguardo è ben espresso da Sephira.
A chi consiglierebbe di leggere il suo libro?
Il libro ha una lettura a vari livelli di comprensione (mi viene da pensare al dipinto “Evolution” di Michael Cheval). Più il lettore conosce, più lo apprezza. Ciò non toglie che possa essere letto da tutti: i più piccoli vi troveranno una bella favola, i più grandi un’appassionante semiotica e una complicata filosofia, sociale e personale. E poi, da insegnante, vivendo le mie giornate a contatto con i ragazzi, non potevo scrivere un libro senza pensare a loro. In essi Sephira ripone ogni speranza. A me invece – a noi docenti, genitori e adulti – tocca lavorare. Il futuro si costruisce nel presente. Il pensiero di oggi sarà la realtà di domani. Non mi resta che augurare una buona lettura. E sperare che da essa derivino tante buone idee.