Cultura e territorio

LA RABATANA DI TURSI

GEMME D’AMMIRARE 
“La RABATANA di TURSI”
                 
 Alta, come nido d’aquila, si erge sui burroni circostanti, vere voragini, la Rabatana, antico rione di Tursi che deve il suo nome alla presenza di Arabi nel IX sec. d. Cr.. Per salirci, per dirla col poeta Albino Pierro, “s’ nghian’t’ a P’trizz’, ca par’t’ na schè’ appund’llèt’ a nna timba sciullèt’”(si sale la 
Pietrizza che sembra una scala appoggiata ad una timba crollata), e ti ritrovi a dominare con la vista un vasto orizzonte che dallo Ionio abbraccia i paesi circostanti sino ai monti dell’entroterra. Percorri viuzze che seguono l’andamento del terreno e godi di un silenzio ristoratore sottilmente interrotto da una brezza che sempre vi spira. Rione già molto popolato, conserva intatte testimonianze preziose di storia e di cultura, dai ruderi delle volte crollate agli archi in pietra che sostenevano i portoni per chiudere l’accesso di notte, alle case con le fondamenta pensili per l’erosione del tempo, allo “iaravèll’” sull’uscio di una casa, vaso per fare un bucato di piccola portata, sino al cuore pulsante del rione: la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Poggia su un ipogeo tutto affrescato, con un pregevole sarcofago in pietra della nobile famiglia De Giorgiis e col celebre Presepe in pietra, uno dei quattro conosciuti dello stesso stile, tutti risalenti al XVI secolo. La Chiesa è anch’essa ricca di affreschi, di un fonte battesimale antico e di un’acquasantiera del 1518, col pregevole Trittico del XIV secolo (su di esso leggi articolo sul numero precedente) ed il più antico registro di battesimi risalente al 1600. Nelle vicinanze del “Ponte della Rabatana” ancora si ammirano elementi architettonici arabizzanti. Visitare la Rabatana è fare un bagno ristoratore fuori dal tempo, ma soprattutto ri-scopri il contatto umano con i pochi abitanti “superstiti” che restano lì indomiti e sorridenti, incoraggiati da giovani avventurosi che lì stanno investendo come per il Ristorante-Albergo “Palazzo dei Poeti”, degli eredi di Antonio Popia, il laboratorio d’arte di Oreste Morano e C. ed un piccolo museo personale di Salvatore di Gregorio. Su tutto aleggia, quasi mitica figura, la memoria di “Zia Pr’pòst’” “Zio Prevosto”, il Rev.do Mons. Salvatore Tarsia, che per cinquant’anni è stato l’emblema del rione, il sostegno dei giovani, il difensore strenuo, la linfa della vita spirituale. 


     Di Rocco Campese