Nessuno si è fermato ad Eboli
Qualcuno ha sostenuto che Rocco Scotellaro non ha potuto rendere giustizia alla sua grandezza per il legame troppo stretto con la sua terra. Non so se sia vero, anche perché all’eventuale sua maggior grandezza ha nociuto la morte precoce. A me la sua forza poetica appare del tutto frutto di quell’aspro connubio. C’è, però, in tale considerazione una verità che può valere oggi per tutti noi. I nostri sono tempi di ‘esodi’ grandiosi e necessari dai nostri retaggi mentali. Un attaccamento troppo vissuto a tradizioni e modalità di vita del passato non aiuta a cor-rispondere alla contemporaneità. La realtà odierna vuole più che mai menti aperte e progettuali per fronteggiare l’imperatività delle trasformazioni che ci vengono richieste. Il sistema-mondo che si viene continuamente riorganizzando con innovazioni e cambiamenti drammatici richiede una grande libertà e apertura di mente per parteciparvi e proteggersene. Soprattutto per proteggere il meglio dell’umano: la conoscenza, l’etica, le relazioni affettive e sociali minacciate dall’asetticità degli schermi e delle tastiere.
Siamo ormai avvertiti che molti mestieri e professioni tradizionali scompariranno a breve volger di tempo. L’automazione progressiva ridefinirà in modo inedito e non indolore le versioni dell’umano cui siamo abituati. Sarà un mondo diverso da ogni immagine che potremmo esserci fatta e dovremo presto abituarci ad abitarlo. Pensarci propositivi e coinvolti è un doveroso impegno morale per non indulgere al vittimismo di sentirsi “figli di un dio minore”. Sentimento pericoloso che impoverisce ed estenua la nostra creatività.
Gli scenari di un’Europa, incapace al momento di trovare una sua nuova dimensione, e del mondo globale dagli incerti confini sono sentiti come una minaccia ai piccoli mondi antichi. Di fatto lo sono. Ma, se riflettiamo scorgeremo che il ‘viaggio’, l’instabilità, il rischio sono cifre antiche della vita umana, non inventate oggi. Gli argonauti e Ulisse partirono per mondi nuovi. Homo sapiens è fatto così. Sofocle lo definì “terribile e inquietante” e il più grande dei poeti, Dante, fu un pellegrino in metafora e di fatto, consumando innumeri suole per l’Italia di allora. Non dimentichiamo che più e meglio conserva chi sa trasformare.
La Basilicata ha certamente risorse ambientali, ma anche umane – visto il numero ragguardevole di personalità d’ingegno e di cultura del suo Novecento – per fronteggiare la nuova ‘diaspora’ dei suoi migliori giovani che vanno a cercare Europa e mondo altrove. Sarà di aiuto sviluppare una cultura dell’aperto, della consapevolezza della propria potenziale contemporaneità, che sostituisca quella del rimpianto e del “rimorso” (illustrata da De Martino), retaggio che rischia di ancorarla al passato. La possibilità di nuove menti politiche e imprenditoriali che l’aiutino a sentirsi a tutti gli effetti coinvolta nei grandi processi contemporanei passa per questa fiducia. Scotellaro ne era consapevole (credo) e se lui dové scrivere “Io non ho trovato la mia stella” è auspicabile che altri giovani di valore possano scongiurare un tale rimpianto.
Valerio Meattini è ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Bari. Oltre ai contributi specificamente filosofici, si segnalano le raccolte poetiche “Sub rosa”, “Non hanno resto i giorni”, “Haiku” (con Edda Bresciani) e il volume di racconti “Sospensioni”. Ha collaborato con “La Versiliana” di Pietrasanta e a Pietrasanta è stato consulente dell’assessorato alla cultura.