Cultura e territorio

Oggi Centro Agricolo di Pisticci, una volta Bosco Salice

Uno sguardo al passato, senza dimenticare e rimanere inerti, reagire oggi.

Centro Agricolo, situato a 124 metri s.l.m., la storica Borgata conosciuta allora come Bosco Salice, oggi frazione di Pisticci in provincia di Matera a circa 10 chilometri dal Comune cui ne fa parte e altrettanto dal mare della costa jonica conosciuta come “San Basilio”. Poco meno di un chilometro dalla vicina frazione di Tinchi, a 3 chilometri e 800 metri dalla più popolosa ed estesa frazione di Marconia. Nel periodo del brigantaggio 1863, era una distesa boschiva di alto fusti poi ridotti in macchia  e  l’allora Sindaco di Pisticci, Nicola Franco, con una saggia e attiva amministrazione, fece sentire alla cittadinanza i primi benefici mettendo in vendita a condizioni favorevoli le “quote” a famiglie di coltivatori di Tinchi; Caporotondo; Calcarole; Accio; Castelluccio. Differentemente nel 1864 la vasta zona di Bosco Salice oltre a Canala e Feroleto venne concessa dal Comune a privati che si rivalevano su pastori e carbonari. Solo nel 1891 fu concessa alla popolazione di Pisticci di ricevere il diritto al taglio gratuito del frascame nei boschi comunali per i forni e usi domestici anche nella zona di Bosco Salice. Da Bosco Salice passava anche, quando entrò in funzione nel 1880 “la via marina”, allora aveva un ruolo campestre, poi chiamata Pisticci San Basilio al fine di assicurare il collegamento con la stazione ferroviaria di San Basilio. La colonia confinaria, nacque invece grazie alla particolare posizione del territorio di Pisticci individuato dal Fascismo, poiché rispondeva ai requisiti per una struttura di confino, lontana dai grandi centri, priva d’importanti vie di comunicazione, e dotata d’indispensabili spazi. Costruita fra l’anno 1938/39, dall’industriale Eugenio Parrini, su incarico della “Direzione Generale della Polizia” ed entrò in funzione nella primavera del 1939, anche se un suo progetto iniziale risaliva al 1927 poiché esistevano già capannoni in muratura, otto precisamente. Fu Colonia Confinaria della Bonifica di Bosco Salice, istituita dal fascismo per  “confinati “ e per “internati”  per sfruttare la forza lavoro degli avversari più irriducibili del regime. In centro nevralgico che riveste oggi una notevole importanza storica, poiché in quegli anni sede amministrativa e centro di riferimento oltre ad essere, dopo la chiusura delle Colonie Confinarie isolane di Ponza; Lipari e Ventotene, anche la prima Colonia Confinaria fascista in terra ferma. Un primo gruppo di nove confinati antifascisti prevalentemente dal nord Italia arrivò a “Bosco Salice” il 27 maggio 1939, sistemato nel casone contrassegnato con il numero uno, mentre un secondo gruppo arrivò esattamente tre mesi dopo costituito per lo più da manovali, fabbri, falegnami, artigiani, elettricisti, muratori, panettieri e contadini utilizzati per bonificare terreni. Il campo era strutturato intorno da una piazza centrale da dalle basse “casermette” dove avevano sede il Comando, i magazzini, i laboratori, l’infermeria. Ai quattro angoli le “garitte per il servizio di guardia, sulla sinistra la caserma della Polizia, dei Carabinieri e della Milizia, un locale adibito a carcere, l’infermeria, e l’abitazione dei dirigenti e una piccola palazzina occupata dalla ditta costruttrice. A destra erano ubicate le botteghe artigiane : barbiere,sarto, calzolaio, e gli spacci alimentari. Nel lato sud c’era una magazzino in cui venivano custodite (brande, lenzuola, coperte, materassi, cuscini). Nel lato Nord era  costruito un locale adibito a refettorio e servizi logistici, ed adiacente al cortile una grande stalla dove venivano custoditi gli animali, e nel punto centrale la piccola Cappella. Al centro della piazza si innalzava un alto basamento col pennone per l’alzabandiera quotidiano e all’ingresso una fontana per l’acqua. L’ingresso della piazza era rigorosamente chiuso da una lunga cancellata, e una cortina di ferro spinato,  anche se la gente delle masserie vicine veniva comunque concesso di entrare per partecipare alla messa ed anche per il piccolo commercio della frutta e del latte. Tantissimi uomini, poco noti ma anche illustri, furono “internati” nel Campo di Bosco Salice. Da una ricerca storica pare siano stati internati tra il Villaggio Marconia e Bosco Salice  circa 1600/1700 uomini. Nomi di rilievo come  Carlo Porta che realizzò con pochi collaboratori  l’attuale Piazza Elettra nel villaggio Marconia; Vito Sardella (antifascista) e Renato Bitossi anche lui (antifascista), futuro senatore e presidente dei sindacati europei. Gustavo Comollo, (partigiano e medaglia d’oro al valor militare), protagonista della Resistenza nelle Lande; altri come Edoardo Voccoli (Sindaco di Taranto poi e Senatore della Repubblica); il polacco Joseph Salaris rifugiatosi per ragioni politiche in Francia poi internato dopo la sua cattura a Bosco Salice e ancora il sacerdote antifascista Francesco Maria Giuiae altri ancora  come Carlo Malfa; Giuseppe Ruatti; Vladimiro Diodati; Loris Pescarolo; Sante Gualtieri Scapecchi (antifascisti). Anche Domenico Rocco Giannace (detto Ming a logn’), lui lucano, pisticcese, amministratore, sindacalista, politico e antifascista, fu testimone di tante ingiustizie ed abusi che venivano commessi nel Campo di Confino di Bosco Salice.  Lui che da giovanissimo, aveva solo quattordici anni, prestò servizio, come apprendista-carrettiere dal 1939 al 1941, conquistandosi la fiducia dei Confinati diventando la loro “mascotte”. Come ricordato la piccola cappella era la parte frontale e centrale del Campo, intitolata al “Santissimo Sacramento” cui il servizio religioso veniva assicurato da preti italiani e croati, anch’essi confinati.  All’interno della sacrestia fu alloggiato uno dei massimi esponenti dell’aristocrazia romana, il principe Filippo IV Andrea Doria Pamphilj, (futuro primo  sindaco di Roma), insofferente al regime  nel 1938 rifiutò di far entrare Hitler a Palazzo Doria Pamphili, e nel 1939 a causa della lettera inviata a Vittorio Emanuele III in cui chiedeva che l’Italia non entrasse in guerra a fianco alla Germania fu  inviato al confino per ordine di Mussolini ed anche perché la moglie inglese Gesine Dykes aveva opposto un netto rifiuto a donare l’oro alla patria. A proposito della chiesetta di Centro Agricolo, (ora chiusa e fatiscente a causa dell’incuria), cui interno fu decorata con dipinti realizzati dai confinati: Achille Del Lago; Norardino Zapparoli; Edoardo Chendi. Frontalmente dietro l’altare, vi è anche una cornice dipinta a tempera attorno la tela che raffigura  “Gesù che porta l’Ostia” (opera a olio di Cosimo Sampietro da Bernalda, 1943,  sue anche due tele della Madonna del Rosario e di Santa Cecilia).  Alla parete (timpano) d’ingresso, un volo di libere colombe, tra gli svolazzi di un nastro che reca la scritta “Florete flores quasi lilium ed date odorem et frondete in gratiam” (Fiorite, fiori, come il giglio, e spandete profumo e fate fronde graziose), auspicante forse la primavera della agognata libertà. Certamente uno dei confinati più autorevoli è stato Umberto Terracini, (cui è intitolata la Piazza oggi), uno dei padri della  Costituente, che, proveniente dall’Isola di Ponza vi scontò altri sei mesi di confino. L’elenco dei personaggi illustri comprende anche esponenti qualificati nel mondo dell’arte della cultura  e giornalismo, tra cui Pompeo Borra, futuro direttore dell’Accademia di Brera, e Umberto Gaddi, direttore de “Il Resto del Carlino” e tanti altri. Oltre alle “casermette” e la piccola cappella, la fontana e il pennone centrale anche l’antico serbatoio d’acqua con ancora evidenti scritte con slogan fasciste ora quasi cancellate dal tempo “ la patria non si nega ma si conquista”. 


Rappresentano un segno della storia, anche i “caselli”, (una cinquantina), con annesso stalla  e depositi attrezzi,  al di fuori del Campo non lontani però da un raggio di 4 o 5 chilometri,  sparsi nei terreni, tipiche abitazioni per gli stessi o i loro familiari che venivano costruiti, dopo che i confinati lavorando di pala e picco, esposti ai pericoli della malaria e dopo aver disboscato 20- 25 ettari, uno al giorno. Tali abitazioni si estesero da Bosco Salice fino ad arrivare alla zona denominata tuttora “Quattro Caselli”. Il 25 luglio del 1943 arrivò l’improvvisa caduta del fascismo, i primi a fuggire come uccelli furono i “militi” che sorvegliavano i confinati e dopo di loro i confinati stessi, ma non tutti.  Né restò qualcuno, uomini sradicati dal paese di origine  per le loro idee antifasciste, che ritennero un diritto di impossessarsi di qualche edificio  dell’ex Campo di Confino, dichiarandola casa propria e facendo venire la propria famiglia per esempio i Chiante a Marconia, ed i Malfa ed i Carella in Bosco Salice. Con l’armistizio dell’8 settembre del 1943 arrivarono gli “Alleati” che si insediarono a San Basilio ed anche nei locali del Campo di Confino, che venne trasformato in un “Centro smistamento profughi”, che ricevette gente fuggita dal fronte di Cassino. Ne fu benemerito dirigente l’austaliano Ten. John Hanshaw, al quale il Comune di Pisticci ha dedicato una lapide di riconoscenza sulla Piazza Elettra di Marconia. Finita la guerra e dopo una tumultuosa invasione da parte di aspiranti proprietari pisticcesi (22 maggio 1946), i terreni della Colonia Agricola” vennero assegnati da una Commissione comunale a 151 famiglie di “quotisti”. I “caselli” delle campagne e gli edifici di Bosco Salice e del Villaggio Marconia vennero dati in affitto ai numerosi coltivatori ed a famiglie bisognose di alloggio. Nel 1947 venne costruito a Centro Agricolo, un nuovo plesso scolastico, tanto che nel 1953 si contavano ben 64 alunni, successivamente scuola materna di Centro Agricolo, ubicata oltre la strada di fronte al’ex Campo di Confino, una stanzetta della stessa fu data come alloggio ai parroci Marista  della Chiesa di Tinchi iniziata a costruire nel 1972 a Padre (Bartolomeo Bardessono e Padre Sabino Malcangio) . (Nel 2016 è stata ristrutturata). Anche la Chiesetta di Centro Agricolo (dal 1946 al 1958) diventò polo religioso di tutta la piana digradante da Tinchi verso il mare. Un progetto della passata Amministrazione fù quello di intitolare le vie del piccolo Borgo per dare memoria a coloro che vi dimorarono organizzando la commemorazione nella giornata di Liberazione del 25 Aprile. Centro Agricolo di Pisticci (MT), ove una volta c’era il campo di Confino di Bosco Salice” da molti anni vive in uno stato di abbandono e di degrado, nonostante il progetto di restauro urbano e di recupero ambientale della ex colonia confinaria e dopo le trasformazioni apportate circa 10 anni fà al suo nucleo centrale, con la realizzazione di 15 alloggi dei 30 previsti con finanziamenti dell’ex legge 179/92, poi vandalizzate, oggi purtroppo quelle case occupate abusivamente ed in stato di degrado assoluto.  La stessa Chiesetta da anni abbandonata all’oblio, le muffe sono un tutt’uno con gli intonaci interni, lo stesso tetto ormai fatiscente oltre alle varie lesioni perimetrali ai muri della struttura. Centro Agricolo, ancora oggi prima che sia troppo tardi, può anche diventare il luogo della memoria storica con l’istituzione di un museo aperto a visitatori studenti e ricercatori fornito di documenti, foto e testimonianze. Solo così potrà essere recuperato e valorizzato un patrimonio storico di notevole rilievo cui si potrà riconquistare quella dimensione umana e sociale per riconsegnarla alla  “memoria Storica”. 
Lino De Marsico